Pur non sapendo con esattezza dove e come la Riflessologia abbia avuto origine, nasce probabilmente come gesto istintivo agli albori della specie umana e le sue radici vanno ricercate in un passato remoto, quando le terapie che implicavano vari tipi di pressione erano riconosciute come forme di medicina preventiva e curativa. Si è scoperto che in passato la riflessologia era conosciuta da alcune tribù primitive dell’Africa e anche dai dagli Indiani nativi d’America e molte culture in vari continenti praticavano tecniche riferibili alla riflessologia plantare. Il primo reperto storico dipinto, appare sulle pareti di una tomba egizia, la “Tomba dei Medici”, eretta a Saqqara nel 2330 a.C. Tra numerose scene murarie che rappresentano interventi medici, c’è un affresco che descrive un particolare trattamento di mani e piedi e raffigura un medico intento a curare il paziente grazie al massaggio e alla pressione su piedi e mani. Sicuramente diffuso in India, citato nei Veda in Tibet già da 4000 anni, questo tipo di massaggio trova la sua massima descrizione e applicazione nell’antica Cina. È qui che numerosi documenti e testi parlano, tra le altre tecniche, di frizioni, digitopressioni e punti per l’applicazione degli aghi nelle mani e nei piedi. Altri studiosi attribuiscono, l’origine della Riflessologia agli Incas (circa 1200 a.C.). Secondo tale teoria, questo popolo tramandò agli Indiani d’America una forma di terapia basata proprio sui punti reflessolgeni.
La documentazione relativa alla riflessologia, come viene oggi intesa e applicata in Occidente, è opera degli studi e delle sperimentazioni del dottor William Fitzgerald e di Eunice Ingham.
E' difficile stabilire attraverso quali meccanismi lo scienziato e otorinolaringoiatra americano, Dr. William Fitzgerald (Middletown 1872- Stamford 1942 USA), che riuscì a dimostrare a livello scientifico quello che per secoli era a livello empirico, divenne il padre della moderna riflessologia plantare. Si sa per certo che, osservando il lavoro di terapeuti Indiani nativi americani, (che tramandano da millenni la cura delle malattie attraverso i riflessi podalici), verso il 1913, cominciò a praticare una serie di prove che lo portarono a scoperte sempre più convincenti, fino alla definizione di un metodo curativo che in seguito venne chiamato “terapia zonale”. L'interesse per i trattamenti basati sulla pressione era nato in lui con la lettura dei lavori di alcuni medici europei impegnati in questo campo già nel Cinquecento e probabilmente era venuto a conoscenza di tali lavori mentre esercitava la professione a Vienna. Il Dr. Fitzgerald disegnò una mappa delle varie zone del piede corrispondenti a determinati organi interni e riuscì a dimostrare che, massaggiando tali zone, si ottiene una migliore irrorazione sanguigna anche negli organi in sintonia. Scoprì anche che palpando accuratamente e con una certa energia il piede si può diagnosticare lo stato di salute dell'intero organismo, poiché il piede duole nei punti corrispondenti agli organi ammalati (il piede praticamente fa da centrale del corpo): secondo questa teoria un dolore sordo rivela una malattia cronica, un dolore pungente rivela una malattia acuta. Fitzgerald notò che l'intensità del dolore provato dai suoi pazienti – affetti da uno stesso disturbo e sottoposti a uno stesso lieve intervento – variava notevolmente. Scoprì che quanti avvertivano un leggero dolore producevano un effetto anestetico su di sé esercitando una pressione su certe parti del corpo. In alcuni casi imitò i pazienti per provocare a sua volta tale effetto. Sviluppando ulteriormente le ricerche, Fitzgerald fu in grado di stabilire un sistema formato da dieci zone del corpo, la cui importanza derivava dal fatto che ciascuna zona aveva un collegamento energetico con determinate aree, consentendo a un'area di influire su un'altra area compresa nella medesima zona. II dottor Fitzgerald usò ogni tipo di strumento per ottenere tale pressione: mollette da bucato, pettini di metallo, elastici, fasce elastiche e sonde metalliche. Le mollette da bucato erano fissate alla punta di un dito, i pettini venivano stretti nella mano, le fasce elastiche erano avvolte intorno a un dito; ciò esercitava una pressione sulle zone della mano, le quali influivano beneficamente su una parte del corpo posta nella medesima zona.
Le ricerche del dottor Fitzgerald vennero accolte con grande scetticismo dalla maggior parte dei suoi colleghi, ma alcuni di questi, dopo una sperimentazione diretta che diede ottimi risultati, divennero fedeli sostenitori del metodo. Fu il dottor Edwin F. Bowers, giornalista medico, che coniò per primo, nel 1916, il termine di “terapia zonale” in riferimento ai trattamenti di Fitzgerald, a proporre che la metodologia venisse chiamata con tale nome. Bowers lavorò anche in Europa a Parigi, Londra e Vienna, dove si concentrò sullo studio della “possibilità di trattamento di organi lontani mediante punti da comprimere”. Molte nozioni relative al massaggio riflesso del piede come lo apprendiamo oggi, sono riferibili al lavoro di una fisioterapista americana, Eunice D. Ingham che concentrò tutta la sua ricerca proprio nella pressione dei punti sulla pianta del piede (Fitzgerald si era focalizzato molto sulla mano), divenendo la più importante pioniera della riflessologia nella forma moderna. Escluse l’uso di elastici e utensili vari e teorizzò la scelta esclusiva della pressione con il pollice. Nel 1938 pubblicò il suo libro “Storie che i piedi possono raccontare” (Stories the Feet Can Tell) dove descrive l’azione tecnica di pressione “come se si volesse frammentare con il pollice nella mano dello zucchero in cristalli”. La Ingham morì nel 1974 ma la sua tecnica è ancora in gran parte utilizzata nelle scuole attuali, grazie principalmente ad Hanne Marquardt. Mentre lavorava in Germania come riabilitatrice, la Marquardt nel 1958 lesse il libro “Le storie che i piedi possono raccontare” (1938). Verificò nella sua lunga pratica, gli indiscussi effetti benefici dovuti al trattamento delle zone riflesse podaliche. Nel 1967 decise di trasferirsi negli Stati Uniti per collaborare con l’ormai anziana, ma ancora attivissima, Ingham. Il loro sodalizio fu interrotto nel 1974 solo dalla scomparsa della mitica pioniera. Allora, la Marquardt si convinse a tornare in Europa per diffondere il metodo. Negli anni il suo lavoro fu integrato dalle intuizioni del naturopata tedesco Walter Froneberg (1932-2017). Il suo studio aggiunse la descrizione delle zone podaliche del sistema nervoso centrale e dei nervi periferici. Un altro autore che arricchì le conoscenze dei riflessi del piede è stato il dottore inglese Robert St. John (1914-1996). Attivo come naturopata ad Edimburgo, studiando i riflessi della colonna vertebrale del piede, immagina l’area tra la 1a e la 2a falange dell’alluce come Zona Paterna e quella del tallone mediale distale come Zona Materna. Intuisce, quindi, come la zona compresa tra queste due (ovvero la zona rachide) corrisponde e riflette il periodo dello sviluppo dei 9 mesi fetali. Perciò, la chiama inizialmente Terapia Prenatale; convincendosi sempre di più che tutto sia legato alla individuale capacità di auto-guarigione, continua il suo lavoro definendolo come Terapia Metamorfica.
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